domenica 21 agosto 2011

Fashion partnership: l'unione fa la moda

I brand del mondo della moda hanno sempre richiesto una gestione complessa: posizionamento chiaro e distintivo in grado di generare l'identificazione dello shopper nel marchio. I concetti di lusso, esclusività, capacità distintiva, status hanno dettato legge per decenni: le associazioni ai brand della moda afferivano sempre e comunque a questi canoni.


Era difficile, se non impossibile, assistere tempo fa a commistioni tra marchi. Ogni maison era arroccata nel proprio atelier ed era impensabile accostarsi ad un'altra casa di moda, sovrapponendo le proprie immagini. Un tempo facevano notizia solo le "fughe" degli stilisti. Oggi invece è sempre più frequente l'attività di co-branding evoluto, laddove il marchio proveniente dal luxury fashion viene affiancato ad altri brand, non necessariamente appartenenti al mondo dell'abbigliamento.


H&M negli ultimi anni ci ha stupito lanciando collezioni disegnate da Cavalli, Lanvin, Versace; D&G ha firmato auto e cellulari; Emporio Armani ha lavorato con Reebok per una collezione di scarpe; Gucci ha collaborato con Fiat per la 500. Ora Karl Lagerfeld, stilista e proprietario di un brand di abbigliamento, disegna la nuova collezione Hogan.


Il co-branding sembra così seguire due direttrici: brand extension in categorie di prodotto lontane rispetto al business originario (auto, telefoni cellulari); incremento dell'accessibilità del contenuto moda (collezioni disegnate da stilisti blasonati a prezzi accessibili). In una prospettiva di gestione del brand, entrambe le strategie nascondono numerose insidie, ma la seconda è sicuramente la più ricca di opportunità, rendendo più "umano" un marchio che in un'ottica di brand extension spinta potrebbe perdere il suo valore, svilendo il proprio posizionamento.

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