venerdì 26 agosto 2011

Malattie rare: figlie di nessuno

Le patologie non sono tutte uguali; differiscono per impatto sulla qualità della vita del paziente, tipologia di cura, costo delle terapie, figura mediche di riferimento e complicanze. Indipendetemente dalla gravità della malattia, ve ne sono alcune "meno importanti di altre".



E' l'epidemiologia (o meglio la prevalenza) a determinare tale rilevanza. Il numero percentuale di casi sul totale della popolazione sancisce il confine tra ciò che è meritevole di investimenti in R&D e ciò che, invece, non è degno di attenzione: l'UE traccia una riga allo 0, 05% (1 caso su 2.000 abitanti). Si sente dire: "Le aziende farmaceutiche pensano solo al business, non si interessano a patologie che riguardano un novero molto limitato di persone".


E' normale che sia così: le pharmaceutical company non sono non profit, bensì realtà aziendali che devono operare per generare profitto. Laddove i margini di un prodotto non superano i relativi costi di Ricerca&Sviluppo non è economico lanciare quella referenza/presidiare quella patologie (e così un farmaco diventa orfano). Le aziende sono "animali economici" e si basano sul concetto di economicità. Il loro mandato è generare margine rispettando la vita dei paziente attraverso la qualità e l'efficacia dei farmaci.

Vi sono tuttavia aziende che lavorano in questo mercato in virtù di due principi: specializzazione e CSR. E' però il mondo istituzionale internazionale che deve investire sulle malattie rare, presidiando segmenti lasciati scoperti dall'industria farmaceutica. Il welfare deve sostenere la ricerca per migliorare la QoL di nicchie di pazienti, aumentando le loro speranze di guarigione e sottraendoli a sperimentazioni cliniche spesso troppo lunghe, sfinenti ed infruttuose. Welfare è anche questo.

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